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Recensione: Spezzate di J.E.S. Doyle

  Scheda libro: Casa editrice: Tlon edizioni Collana: Numeri primi Anno di pubblicare: 2022 Genere: Saggistica/Femminismo Target: All Formato: Brossura, 297 pagine Codice ISBN: 978-88-31498-65-4 Prezzo: 19,00 € Risvolto di copertina: Donne che sbagliano. Donne che crollano. Donne che, con la loro condotta, osano sfidare i limiti imposti da una cultura patriarcale. Donne spezzate dal morboso piacere di vederle fallire. È di queste donne che Jude Ellison Sady Doyle parla nel suo nuovo libro, Spezzate. Perché ci piace quando le donne sbagliano, esplorando il meccanismo perverso che stritola e soffoca le donne di ogni epoca. Da Charlotte Brontë a Miley Cirus, da Britney Spears a Hillary Clinton, Doyle ricostruisce l’ascesa e la caduta di queste donne esplorando il fenomeno sociale della trainwreck: il deragliamento dai binari del proprio ruolo che porta a perdere tutto ciò che si era ottenuto. Come già ne Il mostruoso femminile, questo saggio crudo e graffiante è anche un invito rivol

L'angolo dello scrittore e della scrittrice: La torta nel forno di Valentina Venturino

 


LA TORTA NEL FORNO

La pasticceria è una scienza esatta. Puoi sostituire alcuni ingredienti con altri, è vero, ma devi sempre rispettare le proporzioni. Per questo mi affido a una ricetta, quando decido di preparare un dolce, e non alla mia memoria. Sbagliare, ad esempio, le dosi dei liquidi rispetto ai solidi può tradursi in un totale disastro. 

Occorre la stessa sensibilità che ci vuole ai fornelli, perciò, dato che le pere che ho tagliato erano particolarmente succose, ho ridotto leggermente la quantità di latte, in modo che l’impasto non risultasse troppo morbido. Lo osservo soddisfatta, livellandone la superficie con il dorso di un coltello.

Il forno ha raggiunto i 180°C, apro lo sportello e inserisco la teglia, afferrandola con il guanto da forno. 50 minuti di cottura. Comincio a riordinare e a lavare il tavolo e gli utensili che ho utilizzato. Ecco fatto, non ho nemmeno sporcato il grembiule.

Ho giusto il tempo di andare al supermercato sotto casa, a prendere le ultime cose che mi servono per la cena di stasera. Raccolgo i capelli in uno chignon, una rapida occhiata allo specchio, giusto per vedere se ho tracce di farina sul viso e sono pronta per uscire.

Scendo i quattro piani di scale saltellando, con un’andatura da finta sportiva. Qualcuno ha lasciato cadere delle gocce marroncine sugli ultimi gradini, probabilmente un sacco dell’umido perdeva. Tornerei indietro, al suo posto, se mi accorgessi di aver macchiato involontariamente il marmo? 

Abbiamo sempre i minuti contati, io ne ho circa 40 prima che la torta sia pronta. Magari il vicino non si è reso conto di aver sgocciolato oppure è dovuto correre da qualche parte e non ha potuto rimediare. Succede lo stesso quando ci precipitiamo ad aprire la bocca prima di aver collegato il cervello e diciamo parole che feriscono qualcuno. Poi è troppo tardi per pentirsi e rimangiarsele. Il danno è fatto.

Poche persone tra gli scaffali, a quest’ora, prendo veloce ciò che mi serve. Nell’ultima corsia mi chino a scegliere i bicchieri di carta.

“Ciao”, compari al mio fianco come materializzato da una medium evocatrice di spiriti. “Come stai?”

Non dico niente. Mi rialzo in posizione eretta. Ti guardo senza riuscire a metterti a fuoco, come se fossi trasparente e io vedessi solo i ripiani alle tue spalle. 

Prosegui tu il discorso, ti sono sempre pesati i silenzi e io mi sentivo sollevata dal tuo occuparti di riempirli. Sono una donna di poche parole, preferisco ascoltare. Adesso poi, rivedendoti dopo mesi, quelle tre cose che potrei dire se ne stanno tutte intimidite in un angolo della mia testa.

Mi racconti del lavoro, di tua madre, le banalità che ci si scambiano tipicamente tra conoscenti, che non si sono dati mai un appuntamento, ma che si incontrano ogni tanto per strada, perché abitano vicini. Sei composto e pacato, come non ti ricordavo.

Ti rivedo per un attimo accigliato e con gli occhi fiammeggianti, com’eri l’ultima volta che ci siamo incontrati. Le due immagini faticano a sovrapporsi, sei ancora la stessa persona? Ti ho detto cose di cui mi vergogno, schizzi di olio bollente su una superficie liscia e bianca. Dovresti avere cicatrici grandi come crateri, al posto di questa espressione compassata.

Non vedo segni, invece. Quello che ti leggo in volto suona come: “Va bene così. Non eravamo destinati a restare insieme. Ho voltato pagina e sto bene, ora sono più sereno”. Non è quello che mi aspettavo. A dire la verità non lo so che cosa mi aspettavo, forse semplicemente di non rivederti più.

Con gesti meccanici, porgo i miei acquisti alla cassiera e pago. Ci salutiamo come due persone civili, tu con un sorriso appena accennato, io non so. Probabilmente attonita. Mai stata brava a fingere. Ci allontaniamo in direzioni opposte.

Vado verso i giardini, ho bisogno di camminare, di lasciarmi cadere di dosso l’agitazione che mi ha presa. Devo pensare. Non voglio pensare. Metto un piede davanti all’altro, procedo osservando le crepe sul marciapiedi, da alcune spuntano dei fili d’erba. La vita che si fa strada.

Osservo le persone che incrocio, i cani che zampettano al loro fianco soddisfatti. Costeggio tutto, ma non entro in niente, sono dentro di me e vorrei tanto trovarmi altrove. E’ una passeggiata meditativa, il flusso dei miei ricordi e dei ragionamenti rallenta, si dilata fino a disperdersi e alla fine ci riesco: non penso a niente.

I raggi del sole sembrano paralleli al terreno, ora, dev’essere quasi ora di cena. Poca gente per strada. Farei bene a rientrare anch’io. Ho questa maledetta abitudine di non portare l’orologio. E poi ero uscita solo per la commissione, ho la sensazione di avere qualcosa da fare a casa.

E’ qualcosa che ha a che fare con le proporzioni, con l’equilibrio. Qualunque cosa sia, mi farà bene, mi aiuterà a ritrovare… la torta!!! Inizio a correre, raggiungo casa in pochi minuti, salgo le rampe senza badare al fiatone, arrivo al pianerottolo, trovo le chiavi nella borsa e spalanco la porta.

Le mie visioni di fumo e di pompieri che accorrono si dissolvono, sento solo un certo odore di bruciato. Per precauzione, apro ugualmente la finestra. Spengo il forno ed estraggo la teglia, senza alcuna speranza. L’impasto si è come rattrappito, staccandosi dai bordi. 

Incredibilmente, ne sale un lieve profumo di pere e cannella. Vuoi vedere che la salvo? Gratto via la superficie annerita, non avrei il tempo per rifarne un’altra. Tra non molto i miei ospiti saranno qui. Tolgo le briciole, la sposto su un piatto e la cospargo abbondantemente di zucchero a velo. Grande invenzione.

E’, ancora una volta, questione di bilanciare le cose. Né troppo dolce, né troppo amara. Tanti ingredienti a comporre un insieme armonioso. Ti viene a volte bene, a volte peggio. Quando va male, puoi sempre fare dei piccoli ritocchi. Così è la vita.


Valentina Venturino 


Commenti

  1. Bellissimo racconto ♥️♥️ Marianna complimenti 👏🏻

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  2. Complimenti all'autrice per questo bellissimo racconto ricco di significato 😍

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