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Recensione: Spezzate di J.E.S. Doyle

  Scheda libro: Casa editrice: Tlon edizioni Collana: Numeri primi Anno di pubblicare: 2022 Genere: Saggistica/Femminismo Target: All Formato: Brossura, 297 pagine Codice ISBN: 978-88-31498-65-4 Prezzo: 19,00 € Risvolto di copertina: Donne che sbagliano. Donne che crollano. Donne che, con la loro condotta, osano sfidare i limiti imposti da una cultura patriarcale. Donne spezzate dal morboso piacere di vederle fallire. È di queste donne che Jude Ellison Sady Doyle parla nel suo nuovo libro, Spezzate. Perché ci piace quando le donne sbagliano, esplorando il meccanismo perverso che stritola e soffoca le donne di ogni epoca. Da Charlotte Brontë a Miley Cirus, da Britney Spears a Hillary Clinton, Doyle ricostruisce l’ascesa e la caduta di queste donne esplorando il fenomeno sociale della trainwreck: il deragliamento dai binari del proprio ruolo che porta a perdere tutto ciò che si era ottenuto. Come già ne Il mostruoso femminile, questo saggio crudo e graffiante è anche un invito rivol

L'angelo dello scrittore e della scrittrice: Vampiri vegani di Tita Canta

 


Vampiri Vegani


Io e Alfred

Io: “Mi ha raccontato che quando era piccolo sua madre in privato lo umiliava e lo derideva, ma davanti alle amiche non faceva che elogiarne le imprese.” Alfred: “Succedeva anche a me con un amico, quando gli dicevo che i Metallica mi facevano cagare e poi, in sua assenza, confessavo a tutti che era il mio gruppo preferito”. 

Io: “Ma che paragone è?”

Alfred: “Scusa, sono un po’ in calo.”

Io e mio cugino Alfred siamo vampiri evoluti. Di quelli che hanno smesso di bere sangue di umano vivo e si nutrono solo di quello di umano in stato di premorte o di animali. Siamo ancora predatori, purtroppo. Di cavalli, mucche, maiali, cani e persino di topi, di tutto ciò in cui scorra sangue. Dico purtroppo perché in questa nuova fase della nostra lunga esistenza, senza nemmeno rendercene conto, come d’abitudine, ci siamo ritrasformati, io in una maestra di meditazione e tecnologie trans-personali e Alfred in un dj. Mestieri da vegetariani, senza ombra di dubbio. L’olismo, secondo cui il tutto è maggiore della somma delle singole parti e le discipline olistiche che ne derivano, tra cui la mia professione, stanno aiutando la società contemporanea a liberarsi dai condizionamenti di ogni tipo e di ogni tempo e a considerare l’individuo nella sua globalità, come il prodotto/risultato di corpo, mente e ambiente. Vegani e vegetariani sono figli di questa cultura. Il cibo è diventato un tema centrale di cui gli umani si nutrono. Carne no. Verdura, frutta e carboidrati si. Senza ricordare che per le teorie olistiche anche le pietre sono viventi. E che se si considera la somma del tutto, nel tutto esiste anche il sentire del Vampiro. Ma sto correndo troppo. Sta di fatto che la lenta, bradipa liberazione dal senso di colpa dell’onnipresente timor di Dio degli umani ha lasciato spazio ad una nuova forma depressiva vampira, legata all’insorgere di un diverso senso di colpa. La colpa di poter vivere solo nutrendosi di vita. Di quella vita che gli umani considerano tale.

Non più di due ore fa ho assistito un collega nella sua lezione di yoga e come invocazione finale, seguita dalla vibrazione di un Om collettivo, ha chiesto al divino, che risiede in ognuno di noi, di portare compassione per tutti gli animali del pianeta, affinché le tavole del mondo non siano più imbandite con cadaveri di esseri viventi. Se sapesse che di notte io e Alfred entriamo nei pollai e nelle stalle, posseduti da una forza più grande di noi, che probabilmente non è il divino che intende lui, a fare strage di qualsiasi forma di vita che non sia un umano… per fortuna non lo sa e ogni volta mi prende per mano, credendo che io sia vegana, perché non mi vede mai mangiare e, rassicurato dalla certezza che il mio corpo sia puro, inspira a pieni polmoni, poi espira l’oooooooooom. Tante volte mi chiedo se il divino degli umani sia uguale a quello dei vampiri.


I cicli 

Io e Alfred ne abbiamo vissuti più o meno 35 di quelli che definisco cicli e ognuno mi sembra durato sempre circa settant’anni. Ho notato dopo una decina di giri che ogni ciclo è caratterizzato da uno stile di vita ben preciso, da abitudini, forme espressive e linguistiche, attitudini, gusti e ideologie simili, per ben sette decine di anni. Ammetto che entrambi siamo pigri e dotati di enorme pazienza, dunque una volta che un’usanza entra nella nostra tazza di tè ci mettiamo molto tempo per assaporarla, a meno che non si tratti di moda. Su quella siamo all’avanguardia, è l’unica tendenza che ha fatto almeno 500 giri. Corazze, mantelli, tuniche, trucchi, parrucche, ciprie, corpetti, vestaglie, reggicalze miei e suoi, cappelli, pipe e tabacchiere dorate, camicie, scarpe, rossetti, mascara, orecchini miei e suoi, Ray-Ban, felpe, t-shirt.

I primi tempi, ogni volta che sentivamo che un ciclo era sul finire, sceglievamo una nuova città in cui insediarci e ricominciare, ma portavamo tutto con noi. È stata dura imparare a separarci dalle cose. Abbandonare un oggetto inizialmente era come lasciare andare l’ultima connessione con le persone che avevamo amato in quella vita e che non c’erano più. Mi riferisco alle persone umane. Io e Alfred siamo persone, ma non siamo umani. Siamo un corpo vestito da una personalità che ogni volta diventa la somma e la sottrazione di tante nuove e diverse caratteristiche. Questa inclinazione è ciò che ci accomuna a qualcuno che non è un vampiro. Io e Alfred abbiamo amato tanti qualcuno. Ci siamo allenati al distacco, a lasciare le nostre case anzitutto. Ricordo quando accadde la prima volta, osservavo ogni dettaglio di quella abitazione come se con gli occhi lo volessi tenere stretto. Mi aggiravo di stanza in stanza col cuore pieno di dolore, poi una mattina, in contemplazione del meraviglioso panorama che potevo ammirare da un piccolo patio della casa, vidi una rondine e il dolore svanì. Quella era la lezione che dovevo imparare. Sentii che era solo l’inizio di un lungo viaggio in cui avrei lentamente compreso e accettato che le cose e i corpi sono semplici conduttori passeggeri di eterne connessioni. Non potevo tenere tutto con me, come non si può infilare la mano in un guanto troppo stretto. Ma l’essenza di ogni cosa e di ogni persona invece sì. Sentii che lo spazio dentro di me era infinito e compresi che il dialogo sarebbe proseguito al di là delle nostre persone, nella dimensione transpersonale, dove uomini e vampiri sono la stessa cosa, dove il tutto è maggiore della somma delle singole parti. Oggi ci spostiamo e portiamo con noi un paio di scarpe, una felpa, una t-shirt, i Ray-Ban, il mixer e lo zainetto. Oltre ad una valanga di soldi, la musica nell’etere, i libri e le opere di artisti che ci seguono da sempre. Per me casa è un letto con Alfred in qualsiasi posto del mondo.


La trasformazione

La mia prima vita l’ho vissuta da spartana. Non mi andò male nemmeno allora. Anche se sono nata dopo le invasioni barbariche, quando ormai la donna si era sputtanata il suo matriarcato nonché il privilegio di incarnare tutti i valori della dea madre in una sintesi perfetta tra maschile e femminile, non me la passavo male. A differenza di altre donne del mio tempo, che vivevano non molto lontano da Sparta, godevo di un sacco di privilegi, addirittura potevo possedere qualcosa. Ad Atene non era concesso alle donne avere proprietà. Potevo andare a cavallo, vivere all’aria aperta e competere con gli uomini nella corsa e nella lotta. Fu durante una corsa nel bosco che mi sentii afferrare violentemente per una mano da una presenza nascosta dietro un albero. Uno strattone mi fece cadere a terra. Un’enorme ombra pesante mi sovrastò, poi un morso alla gola e nulla fu più come prima, per l’eternità. Sentii d’un tratto che tutto il mio corpo entrava nella sua bocca e mi sentii svuotare. Mi aveva presa, come si colgono i fiori e mi succhiava con la stessa spensieratezza con cui i bimbi aspirano i petali a punta dei fiori dolci. La profonda percezione della purezza nell’intento di quel gesto prepotente e naturale che mi trasformò a partire dal midollo, mi permette oggi di perdonare la mia fame. Quando medito, ormai medito sempre, anche ad occhi aperti, la mente è sempre meno presente e lì, in quello spazio, sento che va tutto bene, così come è, anche la mia fame. Non ho mai capito se a trasformarci fosse stato un uomo o una donna. Ma quando si parla di Vampiri affamati, anche una donna gracile si trasforma in un’ombra predatrice forte e dirompente. Oggi sono grata a questa ombra. Per molto tempo mi sono sentita persa, malata, sola. Mi sono sentita responsabile per la trasformazione di Alfred, lui aveva solo 25 anni, cinque in meno di me, era sempre al mio fianco, siamo cresciuti insieme e il suo destino è stato quello di seguirmi anche in questa dimensione senza tempo.


I mestieri

Quasi da subito abbiamo compreso di dover adattare la quotidianità alle nostre esigenze fisiche. Non potevamo scegliere professioni diurne, che ci esponessero troppo alla luce del sole. E questo fu un dono per noi, perché evitare ciò che fa la maggior parte delle persone, per esigenze fisiologiche principalmente, ci ha avvicinato alle creature più straordinarie, che, a loro modo, vivevano e vivono da vampiri. Locandieri, osti, prostitute, guardiani, panettieri, scrittori, musicisti, pensatori, pittori, ubriaconi, portieri. Il lavoro che Alfred ha preferito fra tutti e che ha ripetuto più di tutti è stato quello del portiere di notte. Questo gli ha permesso di studiare, leggere, scrivere, ascoltare così tanta musica che tutti i gigabyte dell’universo non potrebbero contenere.

Alfred: ”Mi spieghi perché nei film i vampiri nel loro passato sono sempre personaggi incredibili tipo Mozart o Shakespeare? Io non ho mai conosciuto un vampiro ex famoso. Pensa se David Getta fosse Beethoven...”

Io: ”Ma smettila, non farai mica come gli umani che pensano di essere stati Cleopatra nelle loro vite precedenti? Noi siamo Elphitephoros e Tabetha, spartiati, figli di spartiati.”

Non siamo mai stati personaggi famosi, ma la fortuna ci ha fatto crescere in una realtà che per prima, inconsapevole, ci ha forgiati al nostro destino. Come figli di spartiati, spartani liberi e privilegiati che governavano la città, abbiamo dovuto lasciare la famiglia all’età di sette anni, addestrati alla musica, alla danza, a leggere e scrivere, rafforzare il corpo e il carattere in preparazione alla guerra. Sono cresciuta in un collegio col culto di Artemide dea dello sport e della caccia. Mi piaceva cavalcare veloce.


La gentilezza

Circa 2600 anni fa conobbi Talete, ero ancora molto giovane, avevo da poco concluso quello che per un normale essere umano sarebbe stato il primo ciclo di vita, avevo 90 anni di fatto e nello spirito, ma trenta nel corpo. Volevo essere un uomo per poter accedere ai discorsi degli uomini sugli uomini. Avevo sentito tanto parlare di lui, volevo ascoltarlo e feci in modo diriuscirci. Mi vergogno a ricordare quanto in quel periodo, io e Alfred fossimo aggressivi e prepotenti. Volevamo una cosa e ce la prendevamo. La nostra superiorità fisica e la bellezza che si nutrivano della vita ci permettevano di vincere ogni genere di battaglia a di arricchirci a dismisura. E fu così che entrai in quella sala. In cui gli uomini parlavano degli uomini e della natura, ma soprattutto di un’essenza che accomuna tutte le creature viventi e apparentemente non viventi. Piansi. Piansi perché sentii che se esistevo, nonostante tutto, la voracità, il sangue, la violenza, la dipendenza, l’incapacità di trattenermi dal trasformare il destino di qualcun altro inconsapevole, anche io continuavo ad essere parte del tutto. Quel giorno cambiò ogni cosa. Già a partire dal secondo ciclo decidemmo di essere devoti alla gentilezza, di coltivarla e lasciare che entrando nelle nostre membra placasse la fame selvaggia e incontrollabile, fino a trasformarla in semplice fame e poi lentamente in capacità di rinunciare. La vita del vampiro ha certi vantaggi, tra cui l’immortalità. Ma se vissuta senza consapevolezza, così, lasciandosi andare alla bestialità dei propri istinti, è cupa, violenta, accentratrice e diviene un catalizzatore di rabbia, rancore, vendetta e meschinità. Mordere un uomo significa decidere per la sua vita.

Dopo qualche giro da vampiri cannibali, siamo diventati vampiri carnivori, che poi non siamo mai stati né cannibali, né carnivori, carne non ne abbiamo mai mangiata, né formaggi o uova. Sarebbe più esatto dire che siamo vampiri vegani.


L’essenza

Sul finire degli anni ‘80 ero proprio stanca di guadagnare soldi, non ce n’era più bisogno da un bel pezzo di guadagnarne. Sentivo il desiderio di fare solo ciò che mi piace. Decisi di pensare a me stessa, e di occuparmi unicamente di quell’essenza che sentivo sopravvivere sempre uguale, al di là di ogni trasformazione e orientamento intorno a me. Durante le sedute di meditazione regressiva che guido, spesso capita che qualcuno mi confessi di sentirsi un vampiro o di sentire con certezza di essere stato un vampiro in un’altra vita. E quando chiedo “cosa significa per te essere un vampiro?” osservo gli occhi dell’altro che si illuminano e il corpo che si espande. Mi ritorna una sensazione di benessere e forza che noi vampiri proviamo solamente quando beviamo sangue di umano, in una condizione misera, sporca, bestiale, faticosa. In un momento in cui gli strappiamo la vita dalle membra per farli entrare nelle eterne tenebre. I miei clienti questo non lo sanno, per questo amano i vampiri.

Molti di loro non comprendono che ciò a cui li voglio rimandare durante le nostre sedute sono parti simboliche del loro più profondo io, dunque, non appena sentono la parola regressione, i condizionamenti li portano immediatamente a Cleopatra, Nefertiti, Jim Morrison, o Lady D. Infine anche questo non è che un mio giudizio, dato che tutti questi personaggi, al pari di Artemide, Demetra o Efesto sono neo archetipi, entrati a far parte dell’universale immaginario collettivo.

D’altra parte cos’è Marilyn se non la nuova Afrodite? Scegliendo di fare solo ciò che mi piace, ho voluto dedicarmi completamente alla caccia all’anima. Alla mia anima.


Lo sciamanesimo

Eravamo in Mongolia, un paio di giri fa e conobbi una sciamana di nome Moka. Lei mi raccontò che nel corso della vita perdiamo o sotterriamo, nel profondo di noi stessi, pezzi di anima. Le prime parti che nascondiamo sono quelle che non piacciono ai nostri genitori. Poi i traumi, il dolore, le separazioni, gli incidenti, i lutti sommergono altre parti. Ogni volta che proviamo disagio, che sentiamo la mancanza di qualcosa senza nemmeno capire di cosa, quando ci sentiamo tristi, disperati, ammalati, ecco, potrebbe essere la voce di un frammento di anima imprigionato che reclama la sua libertà. Pensai che a soli sette anni io e Alfred fummo costretti a lasciare la famiglia, per imparare a combattere. Se non ci fossimo stati io e lui, a tenere unito il nostro nucleo, tutta la nostra anima sarebbe andata perduta in un solo colpo. Poi pensai a quanta vita, a quante perdite, quanti abbandoni. Allora cominciai a viaggiare, ancora una volta a cacciare, non più nel bosco, ma nella dimensione non ordinaria, ad occhi chiusi, al suono del tamburo di Moka, che ogni volta mi riportava a ricongiungermi con parti di me. Imparai tutti i segreti dello sciamanesimo. Fui lei ad iniziarmi, in un giorno freddissimo, in mezzo alla steppa. Il mondo era vivo. Le piante, gli animali, l’acqua, le rocce. I vampiri. Il mondo era vivo in diverse dimensioni.

Con Alfred iniziammo un commercio dalla Mongolia, di rame, metalli non ferrosi, monili, bestiame, lana, carbone. Alfred era ancora forte, curioso, vivace. Mi sosteneva, era felice che esplorassi dentro, lui lo faceva fuori. Aveva imparato a conoscere le persone, a prevedere i loro pensieri e a sentirne i bisogni. I suoi modi nobili e gentili, l’eleganza e la fierezza, oltre ad una spontanea simpatia e una magnetica capacità oratoria, lo rendevano irresistibile per qualsiasi persona entrasse in affari con lui, e non solo. Forse i soldi ci hanno impigriti o semplicemente ci hanno dato la possibilità di non doverci più pensare e di poterci dedicare al resto. Pian piano anche Alfred cominciò a rallentare, fino ad arrivare a fermarsi. E dopo aver avuto tutto si è liberato di tutto. Oggi produce musica e suona nei locali notturni con un mac, un mixer e un sintetizzatore. Quando non suona spende la maggior parte del tempo in casa, con la musica e con me. All’inizio di questa fase, in cui anche la sua attività cominciò ad assumere un carattere meno dinamico fisicamente ma più creativo intellettualmente, la vitalità continuava ad animare il suo sguardo e ogni suo gesto, avevo l’impressione che il potere immaginifico della musica lo portasse ancor più lontano di quanto non avesse mai fatto un cavallo o una qualsiasi delle sue spider. Ma quando ci si ferma e le distrazioni del mondo non seducono più la mente, si sa, arriva il momento in cui ci si confronta con se stessi. E questo momento non tardò ad arrivare nemmeno per lui. Le prime volte che si medita, nel raccoglimento ad occhi chiusi, il silenzio amplifica tutti i rumori. Ad Alfred accadde così. Il rumore della sua anima disintegrata cominciò ad essere assordante, ancor più del drop in un dj set. Di giorno in giorno perdeva energia e non credevo fosse per la qualità del sangue di cui ci nutrivamo. Ci sono vampiri oggi che vivono tranquillamente con integratori sintetici e stanno benissimo. E anche noi ne facevamo e ne facciamo uso. Lo vedevo sempre in “calo” come diceva lui, si era convinto che fosse per la nuova depressione che affligge i vampiri, il desiderio di essere vegani. Ma io ero sicura, anzi sapevo, ci fosse un pezzo di anima che scalpitava e voleva urlare. Una tessera mancante del suo puzzle. Che doveva essere ritrovata. Moka mi aveva detto che le parti sommerse di anima sono come lo sporco che si infila sotto al tappeto, più si accumulano più c’è il rischio di inciamparvi. Per questo gli proposi una meditazione regressiva col tamburo.


Io e te

Io: “Mi ha raccontato che quando era piccolo sua madre in privato lo umiliava e lo derideva, ma davanti alle amiche non faceva che elogiarne le imprese.” Alfred: “Succedeva anche a me con un amico, quando gli dicevo che i Metallica mi facevano cagare e poi, in sua assenza, confessavo a tutti che era il mio gruppo preferito.”

Io:“Ma che paragone è?”

Alfred: “Scusa, sono un po’ in calo.”

Io: “Questo ricordo lo faceva stare molto male, perché non comprendeva se sua madre lo avesse amato oppure no, poi abbiamo viaggiato ad occhi chiusi e lui è riuscito a vedere sua madre che durante la notte, tutte le notti, andava ad accarezzargli la testa mentre dormiva. In questo modo il suo dolore se n’è andato. Alfred, ti va di provare a viaggiare dentro di te?”

Alfred: “Facciamolo.”

Io: ”Mettiti qui, disteso sul tappeto, di fronte al camino, il fuoco ti proteggerà. Tieni questa benda, mettila sugli occhi. Inizia concentrandoti sul respiro. Inspira, espira. Rilassa i muscoli del viso, il collo, il ventre, le gambe, i piedi. Abbandonati alla terra. Sentila sotto di te, ti sostiene.

Ora prova ad andare in uno dei tuoi posti preferiti. Una spiaggia meravigliosa, un campo sconfinato, un bosco o una stanza in cui ti senti al sicuro. E in quel posto cerca un varco, cercalo in una buca sotto terra, nello specchio del mare, nella spaccatura di un tronco, arrampicandoti su un albero, lanciandoti in un canyon. Cerca il varco. Inspira, espira, inspira, espira. E da lì inizia la tua caccia.”

Tum tum, tum tum, tum tum… tumtumtumtum tumtumtumtum tumtumtumtum tumtumtumtum, il tamburo a 240 battiti al minuto.

Alfred, giaceva sul tappeto, con le braccia lungo il corpo, bellissime braccia, bianche e lisce, decorate da vene che saprei disegnare ad occhi chiusi, così come ogni singola curva dell’attaccatura dei suoi capelli e dei morbidi riccioli lucidi. Conosco e amo ogni angolo del corpo di Alfred. Il naso fraterno, le ciglia così folte che potrebbero essere uno spazzolino da denti, il collo lungo, ma forte, il torace che custodisce un cuore compassionevole, aperto e generoso, forte e tenero, gli avambracci e le mani il suo pezzo forte, poi quelle cosce che tanteu volte mi hanno sorretta, così come le spalle. Io non potrei vivere senza Alfred. Senza tutto sì.

Ma senza Alfred no.

Tumtumtumtum tumtumtumtum tumtumtumtum tumtumtumtum…

Alfred cominciò a muovere le gambe freneticamente, il tamburo, come un’onda portante lo aveva condotto nella trance, nella dimensione transpersonale, dove gli uomini, i vampiri, le creature viventi e non viventi hanno un’unica essenza e lì stava correndo. Poi iniziò a muoverei anche le braccia. Non correva, era al galoppo. Chiusi gli occhi anche io, mentre suonavo il tamburo. Anche se sarebbe più corretto dire che il tamburo suonava me. Il ritmo mi attraversava e muoveva la mia mano incessante. Eravamo nel bosco, io e lui. Stava succedendo veramente. Dopo così tanti giri eravamo ancora lì. Alla resa dei conti. Ecco che per prima arrivò quell’ombra incappucciata davanti a me, la guardai, era un uomo, era una persona come me, con occhi buoni, non voleva farmi male, aveva solo una gran fame. Questa volta con dolcezza mi avvolse nel suo mantello. Poi arrivò la fame, la mia fame, la stessa che quel giorno mi assalì e agganciando il mio corpo, come gli arti di un burattino, mi fece muovere come un predatore alla rincorsa.

Ero terrorizzata, sapevo cosa stava accadendo, anche Alfred avrebbe visto la sua ombra, l’ombra di chi lo aveva irrimediabilmente modificato, ma procedevo col tamburo, tumtumtumtum tumtumtumtum tumtumtumtum. Non poteva più esserci nessuna separazione tra me e lui. Nessun segreto. Era l’ultima enorme parte che mancava alla mia anima per sentirsi completa. Il mistero doveva essere svelato. Alfred si dimenava, fuggiva, come se fosse inseguito da qualcuno, muoveva la testa a destra e sinistra, come per guardarsi alle spalle, il tamburo scandiva i suoi movimenti, poi d’un tratto si fermò e il tamburo rallentò insieme a lui, tum...tum...tum, Alfred piangeva, non era più spaventato, piangeva e singhiozzava ridendo, piangeva e rideva e faceva pace con ciò che stava vedendo. Si toccava la testa, stropicciava i capelli, era sempre più calmo e sorrideva gentile. Poi lentamente si sollevò col busto, rimanendo seduto, morbido e rilassato si tolse con grazia, come fa tutte le cose, la benda e con gli occhi pieni di acqua mi disse: ”Sei stata tu.”

Si lo avevo trasformato io, il mio Alfred.

Qualche mese fa, dopo 2500 anni, Alfred ha scoperto il mio segreto e io ho visto la mia ombra.

Lo ripeto, posso vivere senza tutto, ma non senza di lui. Dopo così tanta vita dovrei aver compreso che l’esistenza ha origine e fine dentro di me e me sola. Ebbene io non l’ho ancora capito. La mia vita inizia e finisce con lui. D’altra parte mi resta l’eternità per lavorarci su.


Soundtrack, Held by Kiasmos, in loop. 


Tita Canta 




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